Nell’ultima decina d’anni, 50 Cent è stato uno dei nomi più di spicco del panorama rap internazionale. Scopriamo la storia del suo agguato.
La storia di una vita
A partire dal trionfo di “Get Rich or Die Tryin’”, datato 2003, 50 Cent è stato in grado di creare un vero e proprio impero, lanciando sul mercato discografico l’agguerrita G-Unit e dominando per alcuni anni l’intera scena statunitense. All’epoca del debutto mainstream del rapper del Queens, una delle prime cose che saltò all’occhio fu la storia che lo accompagnava, una storia fatta di estrema violenza e delusioni, con una morte evitata per un pelo ed una situazione famigliare ai limiti dell’immaginabile.
Ad accompagnare gli spaccati di vita riassunti con spaventosa lucidità nelle sedici tracce di “Get Rich”, fu data alle stampe un’autobiografia, intitolata “From Pieces to Weight: Once Upon a Time in Southside Queens” (2006), la quale ebbe il buon merito di far luce sui primi venticinque travagliati anni di vita del ragazzo. Tra l’album ed il libro, quindi, ciò che emerse dal profilo di 50 Cent fu sostanzialmente un’inattaccabile credibilità di strada, che nei primi anni duemila era considerata tanto importante da trasformare anche un artista dalle modeste capacità al microfono in una stella di rispettabile caratura.
Il Queens
L’episodio della vita di Curtis Jackson che tutti ormai conoscono a menadito è quello legato ai nove proiettili che gli trafissero il corpo, nel pomeriggio del 24 aprile 2000, per mano del sicario Darryl “Hommo” Baum, il cui movente non è mai stato accertato in alcuna sede giudiziaria ma che certamente è legato al famigerato “underworld” di cui il nostro 50 Cent aveva fatto parte a pieno titolo sin dai giorni della scuola media. E’ proprio intorno a questo evento spartiacque della drammatica esistenza di Curtis che sono state create innumerevoli leggende che hanno contribuito a consolidare la popolarità del suo nome a livello mondiale, fissandolo nell’immaginario collettivo come la perfetta incarnazione dell’eroe greco, un Ulisse contemporaneo che ha trovato la via della gloria soltanto dopo aver sopportato immani dolori e fatiche.
Per capire più a fondo da dove hanno origine le angosciose cronache narrate da 50 Cent, dobbiamo fare un balzo indietro nel tempo e paracadutarci nei primissimi anni ’80, nel quartiere di Jamaica (Queens), dove Kenneth “Supreme” McGriff aveva instaurato la sua dittatura. McGriff era un gangster a tutti gli effetti. Quando il crack iniziò a diventare popolare sulle strade di entrambe le coste, il suo fiuto per gli affari gli aveva fatto intuire che lo spaccio di questa sostanza gli avrebbe fruttato una marea di quattrini, e fu per questo motivo che, insieme al nipote, Gerald “Prince” Miller, fondò nel Queens il “Supreme Team”, un’organizzazione criminale a gerarchia piramidale che, al massimo della sua potenza, arrivò a contare oltre 2.000 membri, dislocati in giro per la città di New York, prevalentemente ad Harlem e nel natio Queens, appunto.
La fine della Supreme
La popolarità del Team durò finché il crack non esaurì il suo potere sui tossicodipendenti e, infatti, la gang poteva già considerarsi defunta intorno al 1990, proprio mentre l’epidemia dei cristalli stava lentamente abbandonando la scena, complice l’incremento dei prezzi per dose, la caduta qualitativa della cocaina disponibile sul mercato e, in ultimo, anche una modesta attività istituzionale, che promosse alcuni programmi per allontanare i giovani dalla spirale distruttiva della droga. McGriff e Miller furono entrambi incarcerati più volte nel corso degli anni ’90, e la loro influenza simil-paternalistica sul territorio newyorkese non fu in grado di uscire indenne dalla marea di accuse e condanne che li travolse, i prevedibili strascichi di una vita spesa nel nome del crimine.
Crescendo nel Queens e nel periodo di massimo splendore del Supreme Team, 50 Cent ebbe modo di conoscere attraverso i suoi stessi occhi l’innegabile dominio territoriale della banda, al punto che qualcuno ha suggerito addirittura che la madre del rapper, Sabrina Jackson, fu uccisa proprio su ordine di McGriff*, colpevole di aver sottratto alcuni soldi del boss per soddisfare la sua dipendenza dal crack. Comunque siano andate le cose, tra Preme e 50 Cent non ci furono mai plateali scontri finché, nei primi mesi del 2000, cominciò a girare una canzone, dal titolo “Ghetto Qu’ran (Forgive Me)” e che campiona la bellissima “Stop, Look, Listen (To Your Heart)” di Marvin Gaye e Diana Ross**, nella quale il ragazzo faceva nomi e cognomi dei più efferati assassini del Team, compresi McGriff e Miller, e di tanti altri banditi di sua conoscenza, raccontando nei dettagli alcuni eventi che, molto probabilmente, i diretti interessati avrebbero voluto lasciare nell’ombra.
Snitch o no?
Molti anni più tardi, 50 Cent avrebbe difeso il testo della sua opera e rifiutato con vigore l’etichetta di “snitch” (“spia”) affibbiatagli dallo stesso McGriff, sostenendo di aver soltanto riportato fatti già resi pubblici dai giornali dell’epoca. Tuttavia, quando “Ghetto Qu’ran” divenne una hit dell’underground di NY, furono in molti ad informare il suo autore di quanto McGriff fosse furioso e bramoso di vendetta per ciò che aveva sentito sul suo conto, nonostante i suoi uomini più fedeli lo avessero sempre considerato un tipo più incline alla diplomazia rispetto al nipote Miller, che invece era conosciuto da tutti per la sua indole violenta.
50 Cent ha sempre sostenuto di sapere che, dietro al suo attentato dell’aprile del 2000, ci fosse la mano di Supreme, e non è un caso che la casa discografica Murder, Inc. di Irv e Chris Gotti – coadiuvata dal suo artista di punta, Ja Rule – si sia trovata più volte in contrasto con lui; Kenneth McGriff, infatti, ebbe un ruolo di fondamentale importanza nella genesi della label, soprattutto per quanto riguarda il discorso legato alla reputazione presso il ghetto, che l’ex grande capo del Queens si occupò personalmente di consolidare.
Ma non solo: nel 2005, un’investigazione condotta dall’FBI ha fornito indicazioni secondo cui McGriff avrebbe utilizzato per anni proprio la Murder, Inc. per riciclare buona parte dei suoi guadagni illeciti, prima che una sentenza del 9 febbraio 2007 lo condannasse al carcere a vita per traffico di droga ed un omicidio su commissione***. Per la carriera di 50 Cent, l’attentato rappresentò un punto di non ritorno: la Columbia, etichetta per la quale stava per rilasciare il suo disco di debutto, “Power of the Dollar”, lo scaricò (molti sostengono che fu McGriff stesso a fare pressioni sulla compagnia perché stracciasse il contratto), le riprese del video del primo singolo, “Thug Love” (in compagnia delle Destiny’s Child), furono cancellate ed il suo nome fu inserito dall’industria musicale in una sorta di “blacklist”, a causa del suo intimidatorio background.
Fu solo grazie alla pubblicazione di decine e decine di mixtape, in collaborazione con Sha Money XL (che avrebbe poi assunto la presidenza della G-Unit Records), che 50 fu in grado di rompere il muro che lo separava dal mercato di prima fascia e finalmente affermarsi per il suo valore, questa volta spalleggiato da gente del calibro di Eminem e Dr. Dre, che gli avrebbero dato la spinta decisiva per trasformarlo nel personaggio che tutti quanti abbiamo imparato a conoscere. In mezzo a questo pantano infamante e sanguinolento, è obbligatorio fare anche menzione dell’omicidio che tolse la vita a Jam Master Jay, DJ degli eterni Run-D.M.C., freddato il 30 ottobre 2002 in uno studio di registrazione – ancora una volta – del Queens.
Premesso che, come succede spesso e volentieri in questi casi, il carnefice del musicista non è mai stato ufficialmente consegnato alla giustizia**, è bene sottolineare che JMJ fu l’unico ad aver avuto il coraggio di firmare 50 Cent – presso la sua label, la Jam Master Jay Records, che lanciò gli Onyx e ne pubblicò i primi tre album – nel periodo in cui, come accennato poc’anzi, Curtis era stato qualificato come “persona non gradita” presso le case discografiche di tutta America. Qualcuno deve aver forse storto il naso quando il DJ decise di sfidare il sistema e dare una possibilità al suo conterraneo, tanto da credere che fosse il caso di pianificare un attentato nei suoi confronti; se vogliamo credere che sia davvero questo l’unico movente sensato per giustificare la morte dell’illustre veterano, allora abbiamo più di un qualche debole elemento che possa collegare il tragico evento a Kenneth McGriff, astenendoci comunque dal tramutare queste teorie in verità indiscutibile.
Oggi, nonostante i dissidi con la Murder, Inc. e McGriff non siano mai stati chiariti davanti ad una tazza di tè, 50 Cent considera questa storia facente parte di una realtà che non gli appartiene più, e non si può dargli torto: svestiti già da tempo i panni del gangster del ghetto, l’uomo che prese il proprio nome d’arte dallo stick-up kid di Brooklyn Kelvin “50 Cent” Martin è diventato uno dei tanti protagonisti del jet-set a stelle e strisce, una celebrità ormai più vicina alle feste post-Grammy che non alle partite di dadi sui marciapiedi del suo Queens.
I tempi cambiano, e anche i nemici stessi dell’ormai quarantenne Curtis Jackson sono cambiati: con la condanna definitiva di McGriff, attualmente detenuto presso il Pennington Gap (carcere di massima sicurezza, situato in Virginia), anche i ponti con Irv Gotti e Ja Rule si sono virtualmente spezzati, e la faida tra i due schieramenti non ha più alcun ragionevole motivo di esistere. Restano sullo sfondo i misteri di una storia del ghetto – tipica del controverso romanticismo americano, che mescola meglio di ogni altra corrente sangue e soldi – che nessun estraneo alla vicenda conoscerà mai in tutti i suoi più spietati dettagli.
*A Kenneth McGriff è ispirato il personaggio di Majestic del film “Get Rich or Die Tryin’”, interpretato dall’attore britannico Adewale Akinnuoye-Agbaje.
**Canzone originariamente scritta ed eseguita dagli Stylistics.
***La corte federale dell’Eastern District of New York ha stabilito che McGriff, nel 2001, pagò 50.000 dollari per l’omicidio di due rivali, Eric Smith e Troy “Big Nose” Singleton.
**Nell’aprile del 2007, alcune indagini hanno ipotizzato il coinvolgimento nel caso di Ronald “Tenad” Washington, già primo sospettato per l’omicidio di Randy “Stretch” Walker, socio di Tupac, avvenuto nel 1995.