“La vera piaga di Palermo è il traffico”: Paolo Bonacelli e l’eredità culturale di una scena immortale
Ci sono battute che superano il tempo, che smettono di appartenere a un film e diventano patrimonio collettivo. Una di queste è senza dubbio quella pronunciata da Paolo Bonacelli nei panni dello zio di Johnny Stecchino, nel cult del 1991 diretto e interpretato da Roberto Benigni:
«La vera piaga di Palermo è il traffico.»
Un momento di cinema che ha fatto la storia, capace di trasformare una semplice ironia in un ritratto geniale dell’Italia, delle sue contraddizioni e della sua umanità.
Bonacelli: il volto, la voce e l’anima del teatro italiano
Paolo Bonacelli, scomparso a 88 anni, è stato molto più di un attore. È stato un interprete totale, capace di passare dal teatro di Gassman al cinema di Pasolini con una naturalezza che pochi hanno saputo replicare. Nato a Civita Castellana nel 1937, diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, Bonacelli ha portato sulle scene e sullo schermo un’energia quasi mistica: quella di chi vive per dare forma alla parola scritta, senza mai dimenticare l’uomo dietro il personaggio. La sua voce baritonale, inconfondibile, riempiva i teatri come una musica, e la sua presenza scenica era una lezione di mestiere e di umiltà. Da Shakespeare a Molière, da Sartre a Pinter, Bonacelli ha incarnato l’essenza dell’attore: essere “uno, nessuno e centomila”, come amava dire lui stesso.
Dal teatro al cinema: una carriera da oltre cento ruoli
La filmografia di Bonacelli è un viaggio nel cuore del cinema italiano e internazionale. Fu Alan Parker a notare i suoi occhi verdi e a volerlo per Fuga di mezzanotte, ruolo che lo portò fino a Hollywood. Poi vennero Pasolini con Salò o le 120 giornate di Sodoma, Scola, Cavani, Rosi, Antonioni, Bellocchio — un mosaico di esperienze che raccontano una carriera senza confini. Ma fu proprio “Johnny Stecchino” a regalargli la fama popolare. In quella Palermo surreale, tra risate e riflessioni sociali, Bonacelli costruì un personaggio che è rimasto impresso nella memoria collettiva: ironico, teatrale, perfettamente italiano.
Un simbolo di cultura, ironia e realismo
Oggi, riguardando quella scena, ci accorgiamo che non era solo comicità. Era una fotografia perfetta dell’Italia dei primi anni ’90, dove l’assurdo e il quotidiano si mescolavano come in una pellicola di vita vera. Bonacelli sapeva restituire questa complessità con una semplicità disarmante: bastava uno sguardo, una pausa, un tono di voce. La sua arte non gridava, ma lasciava il segno. Era elegante senza essere distante, ironico senza essere leggero. Era uno di quei maestri che oggi mancano al cinema italiano, capace di dare sostanza anche a un ruolo di due minuti.
L’eredità di un attore monumentale
Oltre cento film, decine di ruoli teatrali, e un modo di recitare che appartiene a un’epoca in cui l’attore era un artigiano, non una star. Bonacelli lascia dietro di sé un’eredità fatta di autenticità, passione e libertà. In un mondo che corre veloce e si dimentica presto, la sua voce rimane come un’eco che invita a rallentare, ad ascoltare, a ricordare cosa significa davvero fare arte.