Marracash

Marracash: dalle viscere della Barona alla vetta del rap italiano

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Barona: la culla cruda del re

Tutto parte da un quartiere popolare a sud-ovest di Milano: Barona. Qui, tra palazzoni grigi, case di ringhiera e strade battute dal disagio, cresce un ragazzo con sangue siciliano e spirito ribelle. Si chiama Fabio Bartolo Rizzo, ma presto sarà conosciuto da tutti come Marracash. Il soprannome nasce da un’etichetta affibbiatagli da ragazzino: lo chiamavano “il marocchino” per via dei tratti mediterranei marcati. In un mondo che spesso emargina prima ancora di capire, lui decide di trasformare lo stereotipo in identità. Da quella parola nasce “Marracash”: un nome che unisce le radici a un’ambizione feroce. Alla Barona si cresce in fretta. Si sopravvive. Il lusso è un concetto astratto, i metri quadri sono pochi, le prospettive ancora meno. Ma è proprio in quella realtà tagliente che Fabio affina lo sguardo, osserva il mondo da una prospettiva laterale, capisce il valore della parola. E inizia a scrivere. La musica diventa un’ancora. Un modo per elaborare, per sfogarsi, per ribaltare la narrativa imposta. Tra la rabbia repressa e il bisogno di espressione, scopre il rap.

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Juza delle Nuvole: primi passi nell’underground

Alla fine degli anni ’90, Marracash si affaccia nella scena hip hop milanese con un alias che pochi ricordano: Juza delle Nuvole. Il giovane Fabio comincia a muoversi nei circuiti underground, partecipando a jam, demo autoprodotti e progetti collaborativi. Tra i primi featuring importanti, c’è una traccia in un demo di Prodigio, dove compaiono anche futuri giganti del rap come Guè Pequeno, Jake La Furia e Dargen D’Amico. Sono anni di formazioni spontanee, crew improvvisate, registrazioni in home studio. Nel 2004 entra in un mixtape leggendario per l’epoca: “PMC vs Club Dogo – The Official Mixtape”, un lavoro che mette in dialogo le due scene più attive del momento, Milano e Bologna. Marracash, con il suo stile grezzo ma magnetico, comincia a farsi un nome oltre la cerchia ristretta dei puristi. La sua voce roca e il suo modo di scrivere diretto e visionario iniziano a circolare nei forum, nelle strade, nei primi blog hip hop.

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Dogo Gang e Roccia Music: fuoco nelle casse

Il salto arriva con la nascita della Dogo Gang, collettivo allargato che ruota attorno ai Club Dogo e che accoglie Marracash come nuova promessa. La sinergia è potente: nel 2005 pubblica il singolo “Popolare” e, nello stesso anno, arriva il mixtape “Roccia Music Vol. 1”. Un manifesto per chi vive ai margini, un disco collettivo che dà voce a una generazione intera. Il progetto raccoglie voci da tutta Italia – da Napoli a Bologna – e Marra è ovunque: in strofe rabbiose, nei ritornelli intensi, nei racconti urbani pieni di cemento e sogni infranti. “Roccia Music” non è solo musica. È una dichiarazione d’intenti. Marracash non gioca a fare il rapper: lo è. Lo è nei temi, nei suoni, nella postura. Lo è nel modo in cui racconta la vita quotidiana dei quartieri popolari senza cadere nel folklore, ma tenendo sempre alto il livello lirico. Le sue rime non cercano pietà, ma lucidità. Sanno di fumo, scale condominiali, radio sintonizzate su mixtape pirata.

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Dall’underground al microfono della nazione

Tra il 2006 e il 2007, Marracash continua a seminare in ogni progetto valido della scena. Entra in album storici di DJ e collettivi, calca i palchi con i Club Dogo, si costruisce una reputazione solida che va ben oltre la cerchia della Barona. È credibile, tecnico, ma soprattutto autentico. Non indossa personaggi. Non segue trend. Segue la fame. Nel 2008 arriva la svolta: firma per una major. Per molti è un tradimento, per lui è solo un nuovo capitolo. L’album omonimo “Marracash” esce con Universal e contiene il singolo che lo consacra: Badabum Cha Cha. Ma chi lo conosce dai tempi di “Roccia Music” sa che il vero Marracash non è nato lì. È nato molto prima, nelle jam polverose, nei vicoli della Barona, tra palazzine popolari e vite al limite.

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Marracash è ancora lì, anche se guarda il cielo da San Siro

Anni dopo, quando il King del Rap riempie San Siro, quella voce è la stessa di allora. Più matura, più complessa, ma con la stessa ferocia negli occhi. La stessa determinazione di chi non ha mai avuto scorciatoie. E non le ha mai cercate. Perché Marracash non ha solo fatto carriera. Ha fatto scuola. Ha dimostrato che puoi arrivare in cima senza cancellare da dove vieni. La Barona non è un ricordo lontano: è una fiamma che brucia ancora, sotto le rime, sotto i beat, sotto ogni strofa scritta con l’inchiostro del vissuto.