Yung Toro: tra drill, jazz e radici italiane – il ritorno con “Mr Burns”
Con il suo stile inconfondibile, una penna che viaggia tra inglese e italiano e una produzione completamente indipendente, Yung Toro torna a farsi sentire con “Mr Burns”, una traccia che affonda le sue radici nella drill britannica ma che profuma di sole toscano e chitarre sminuzzate. Il pezzo, estratto dalla nuova mixtape Gelateria, disponibile su tutte le piattaforme, mescola beat incisivi a vibrazioni jazzy grazie anche alla collaborazione del chitarrista Christy Carey. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare di più sulla sua storia, sul suo sound e su cosa significa navigare due mondi senza perdere sé stessi.
Ciao Toro! Cominciamo dal principio: raccontaci un po’ di te, del tuo percorso e delle tue origini.
Sono nato in Italia, in una cittadina chiamata Poggibonsi, ma mi sono trasferito nel Regno Unito quando avevo solo due anni. Vivo a Bristol da quasi dieci anni, una città musicalmente viva e multiculturale che ha avuto un impatto enorme sul mio sound e sulle mie ispirazioni.
“Mr Burns” ha un’energia diretta, potente. Cosa stavi vivendo quando l’hai scritta?
Ho scritto questo pezzo l’estate scorsa. L’ho tenuto in stand-by per un po’, anche perché il mixtape ha subito dei ritardi ed è uscito solo a marzo. Negli ultimi anni il sound UK è cambiato molto, e sono rimasto colpito dalle produzioni di artisti come Knucks. Volevo mettere un po’ della mia “speziatura italiana” su tracce jazzy-drill, e con calma il pezzo ha preso forma.
Passi da italiano a inglese con estrema naturalezza. Sei cresciuto bilingue?
Sì, parlo italiano da sempre, grazie alla mia famiglia e ai parenti che vivono ancora lì. Però dopo 26 anni nel Regno Unito, è ovvio che l’inglese si sia mescolato al mio modo di comunicare. Questo mix mi viene spontaneo, e più lo uso, più sento di potermi distinguere e raccontare qualcosa di unico.
Produci, mixi e masterizzi tutto da solo: quando hai capito che volevi avere il pieno controllo creativo?
Ho iniziato a suonare la chitarra intorno ai 10 anni e da allora ho sempre fatto musica in qualche forma. Questo mi ha aiutato tanto, sia nei momenti difficili che per costruire un’indipendenza creativa. Ogni tanto collaboro con altri, dipende dalla traccia, ma essere autosufficiente mi ha permesso di imparare tanto e adattarmi a tutto.
Cosa fai quando non sei in studio?
Produco sempre, ma lavoro anche in un college dove supporto studenti. Questo mi dà il tempo per pianificare i prossimi passi, imparare tecniche nuove e condividerle con loro. Faccio anche lavori su commissione online, ho collaborato con RedBull Music UK e Channel 4. Ma la verità? Quando posso, me ne sto tranquillo e mi rilasso.
Il tuo sound ha un’identità fortissima. Quanto ha inciso la tua crescita su questo stile così personale?
Tantissimo. Essere bilingue e crescere in una cultura diversa dalla mia mi ha reso sempre un outsider. Ma con la musica cerco di far sentire alle persone che essere diversi è un valore. Spero che chi mi ascolta riesca a trovare conforto in questo.
Qual è il messaggio che vuoi lasciare a chi ascolta “Mr Burns” per la prima volta?
Spero che si senta ispirato, motivato. È una traccia che parla di crescita e di esprimere il proprio potenziale. È come dire: “Ecco chi sono, e non ho paura di mostrarlo”.
Vivere tra UK e Italia non dev’essere facile: come gestisci questo doppio legame, anche fuori dalla musica?
È complicato. Rapporto in inglese molto più spesso, e a volte sento di aver perso un po’ il contatto con il mio lato italiano. Ma sento il bisogno di riconnettermi con le mie radici, portarle dentro ogni pezzo che faccio. È una cosa su cui lavorerò ancora di più.
Quando hai capito davvero di essere un artista, e non solo qualcuno che fa musica?
Alcune performance mi hanno dato una grande spinta, come al festival Love Saves the Day nel 2020, o più recentemente quando ho aperto per Jammer e JME in un mega warehouse. Quelle vibrazioni, l’energia della gente, mi hanno fatto capire che sto andando nella direzione giusta.
C’è stato un artista, un disco, o un momento in particolare che ti ha fatto dire: “Ok, questa è la mia strada”?
Ascoltavo tanto Gorillaz, King Krule e roba più sperimentale. Avevo una chitarra, un loop pedal, e passavo ore a creare, immaginando di essere sul palco con una band. Quel sogno mi ha portato fin qui.
Infine, dicci qualcosa che nessuno si aspetterebbe da Yung Toro.
Da piccolo facevo animazioni in stop motion! Era un’attività solitaria e lenta, ma mi ha aiutato a sviluppare la visione per i miei video musicali. Ah, e amo cucinare e giocare a basket. Bella.
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